lunedì, giugno 22, 2015

Viaggio a ritroso. ‘15

Martedì, 02 Giugno 2015. Come ogni anno, ecco che si riparte. L’ultima settimana è stata davvero pesante, tanto che mi è spuntato un Herpes sul labbro e le articolazioni si sono fatte sentire un po’ più del solito. Comunque, ieri sera , preparata la valigia, abbiamo fatto “un poco di ammore” e la serata è passata tranquilla, con Cicitto, che continuava a dirmi: “…Lo sai che ti amo?... Tu mi ami?...” e poi quando eravamo a letto mi dice: “dammi dei consigli” ed io: “Non usare il fon intanto che sei sotto la doccia … Non usare la candeggina per farti il bidet … Non usare il microonde per asciugarti i piedi …” insomma dolci amenità tipiche di due amanti innamorati. La notte è passata veloce, già alle sette ero sveglio e dopo un po’ di pipì e le mia solite pillole, torno a letto, cercando di riprendere sonno, anche se solo a spizzichi e bocconi, si sonnecchia fin verso le nove. Tra docce e ultimi preparativi si arriva alle dieci. Andiamo in aeroporto, attraversando una tangenziale quasi deserta. Unico traffico in prossimità dell’ingresso del terminal, tanto che ci siamo salutati con un bacio e un abbraccio fugace, perché già suonavano dietro la nostra macchina per poter passare. In aeroporto tutto abbastanza tranquillo. Ho fatto velocemente il check-in elettronico, potendo così cambiare posto, per stare vicino al finestrino. Mi avvio per consegnare la valigia e allo sportello mi trovo due “barbute” che se la chiacchieravano, dicendo: “Dici che devo tagliarla di più?” e l’altro : “No, basta rifilarla un pochino sotto il collo, sulle guance lasciala così”. Poi, finalmente si accorgono della mia presenza, quello in piedi si allontano salutando e l’addetto mi chiede con voce quasi schifata: “Priority?”. “ Cosa?”. E lui insiste, come parlando ad un marziano: “Priority”. “Scusi, devo consegnare solo la valigia”. Ancora più schifato : “Ah, no Priority Fly? Allora deve andare in fondo, le due ultime postazioni”. E tira un sospiro di sollievo, manco avessi dovuto mettere la valigia nel mezzo del suo salotto di lusso, pagato con le marchette fatte in Priority Fly. Quando arrivo allo sportello indicatomi, chi ti trovo? Di nuovo “la barbuta” con il cruccio per la barba, che ancora chiacchierava con altre colleghe, questa volta di chissà quale meta per delle possibili vacanze … ma ancora sfaccendato, e avrebbe fatto meglio a chiedere per una dieta da seguire oppure dove andare per farsi cambiare la divisa, che fortemente tirava sulla pancia. Al passaggio sotto il metal detector si vedono le “allegre famiglioule”, che si meriterebbero l’Oscar per la buona educazione, sia la loro che quella che hanno impartito ai loro “figliuoli”. E’ ancora molto presto e così decido di fermarmi al bar per mangiare qualcosa: un panino e una bottiglietta d’acqua ben otto euro e venti. Mi sono rifiutato di prendere anche il caffè! Intanto che aspetto l’imbarco, mi siedo guardando il computer, attorniato dalle allegre “famigliuole” con deliziosi “figliuoli” al seguito, che stanno comodamente con i piedi sulle sedie, ora saltando ora ballando, ora correndo per l’aeroporto, con padre distratto che solo diversi minuti cercando Asia, si mette in Ansia, cercandola dapprima sotto le sedie (chissà perché) e poi in bagno (ancora non capisco la sequenza di ricerca), al suo seguito il “figliuoletto” vagamente ciula, di circa otto anni, che forse si aspetta che il padre possa dare qualche scappellotto alla sorella e non lui non vuole assolutamente perderselo. Tornano trionfanti e non si capisce se il padre sia felice perché sia stato tanto bravo da riuscire a trovare la sua “figliuoletta” dispersa o per lo scampato pericolo, il “figliuoletto” ciula non si sa se sia riuscito ad assistere al ceffone o solo perché ciula, la “figliuoletta” Asia forse ha scampato il ceffone o forse è così felice di chiamarsi Asia e di essere stata chiamata a voce alta per tutto l’aeroporto che ha avuto il suo primi fremito alla giovane età di sei anni. Ma ecco che chiamano l’imbarco e incomincia la ressa e lo spingi spingi, specie dai viaggiatori più anziani, quasi che qualcuno possa rubar loro il posto prenotato. L’accesso è tramite il ponte d’imbarco e lo stupore è vedere quanto sia piccolo l’aereo: due sole file di poltrone per parte, per un massimo di novantotto posti. Io sono sul fondo, vicino al finestrino. Lo steward che mi indica il posto mi pare una “pazza” giovane e con un arco lordotico accentuato come quello di Belen. Nei sedili vicini al mio ci sono altre famigliuole e una coppia di anziane, sedute però una avanti e una dietro, che incominciano subito a raccontarsi di tutto ed ora conosco per filo e per segno tutto ciò che c’è da sapere sulle loro famiglie e collaterali, tutto su Caltagirone e Briolo , conoscendo benissimo, parenti, amici e conoscenti con relativi indirizzi, mestieri, patologie e terapie e medici e strutture mediche. Una delle due attacca bottone con lo steward e gli chiede di dove fosse e lui con voce frocigna gli dice: “Di Cagliari sono” e la signora: “A in Puglia …”, “ No signora, Cagliari”, “ Ah certo, in Calabria, certo, bella”, “No, signora,Cagliari, in Sardegna”, “Sì, certo Cagliari, Porto Torres, mio marito ci ha lavorato, ha viaggiato tanto …”. Ma ormai siamo pronti per il decollo, cinture allacciate, sedili alzati e bambini urlanti, quasi gli stessero stappando i denti da latte. Un padre, con il figliuoletto vicino gli dice di tenergli la mano e di incrociare le dita, ma il vero terrore si vedeva solo negli occhi del padre, mentre al figlio non gli e ne fregava un fico secco. Si parte, e inizia un concerto di pianti, urli e strepiti di bambini di ogni ordine d’età, dai neonati ai prescolari, e in quel momento avrei voluto urlare anch’io: solo per il gusto di rompere i coglioni agli amabili “genituori” che non hanno saputo dare la ben che minima educazione ai piccoli tenorini in erba. Per fortuna il resto del viaggio è andato abbastanza bene: ho scritto un po’ sul PC, ho guardato fuori dal finestrino ed ho gustato i meravigliosi snack offerti dall’Alitalia: quindici grammi di mini crostini ed in bicchiere da cento ml di Cola. In dirittura di arrivo riprende il concerto, ovviamente senza il ben che minimo intervento da parte dei “meravigliusi genituori”, per tacitare la loro prole. Finalmente a terra, con ben venti minuti di anticipo, scendiamo e già nell’aria si sente il profumo di salsedine e di erbe secche. Arriviamo all’interno dell’aeroporto e ci mettiamo in attesa dei bagagli, ma passano dieci minuti, poi venti e poi ancora trenta, ma dei bagagli neppure l’ombra. Intanto le allegre “famigliuole” erano intente a rincorrere i deliziosi pargoli urlanti, tra stranieri allibiti, sicani incazzati, addetti alla manutenzione delle pedane rotanti per i bagagli, giacchè si sono finalmente accorti che la postazione quattro è andata in “corto” e ci hanno dirottato sulla piattaforma tre. Ed ecco finalmente le valige. Intanto mio cognato mi aveva già chiamato due volte, ma non potevo certo lasciare la valigia in regali allo staff del Fontanarossa. Finalmente fuori, trionfante con la mia valigia, abbraccio Anna e Sebbo e ci avviamo verso la macchina. Il problema è stato uscire dal parcheggio, in quanto le segnalazione erano “vaghe e tendenziose”, portando la nostra e altre macchine a fare giri assurdi che non portavano da nessuna parte, dovendo fare marcia indietro con manovre azzardate e rocambolesche e, dopo un giro labirintico, via verso la tangenziale e poi l’autostrada. Per strada le solite chiacchiere, quindi a casa, con mia madre che non voleva più staccarsi dall’abbraccio, con le lacrime agli occhi. “Pronto in tavola, forza che è già pronto”. Io mi schermisco, dicendo che avevo già mangiato il famoso panino da sei euro con l’acqua da due euro e venti, più i quindici grammi di mini crostini. Ma nulla da fare, era già impiattato e si doveva mangiare: pasta alla Norma, cotolette di pollo, insalata, ciliegie, acqua, vino e caffè. Mi sono rifiutato di andare oltre un po’ di pasta, ma la mia pancia già esplodeva. Decido di dare i miei regali e vado in camera per aprire la valigia. Beh, sorpresa delle sorprese, avevo tutti i regali tranne quelli loro. Nervoso e agitazione. Decido di chiamare Cicitto, ma lui era ormai andato a casa sua e mi dice che domani, quando torma a Merate, controllerà in armadio e se fossero li si sarebbe premurato di mandarmeli con un pacco celere. Vado in camera e sistemo un po’ di cose, scrivo ancora qualche riga, poi rimango a parlare con mia madre di tutte le disgrazie, dei morti e dei malati gravi, degli accidenti e dei casini di mezzo quartiere … no, forse era tutto il quartiere e il parentado e anche di quelli che non conosco, ma di cui avrei dovuto sapere “vita morte e miracoli”. In serata, mia sorella mi manda gli arancini e delle “cipolline” (fagottini di pasta sfoglia, ripieni di cipolle brasate e mozzarella) e facciamo cena con quelli. Io arrivo a mangiarne tre, più una “cipollina”. SONO DAVVERO PIENO!!! La serata passa tra chiacchiere e televisione e andiamo a coricarci verso le dodici e mezza. Sono stanco e non tento neanche di leggere. Il lettino da educanda sarà un banco di prova, avendo perso l’abitudine a dormire in uno spazio così piccolo. Ricordo ancora di quell’anno in cui mi precipitai dal letto, non calibrando le misure: non voglio ripetermi! Mercoledì, 03 Giugno 2015. Alle quattro di notte mi son dovuto alzare a prendere del Gaviscon, per il tremendo mal di stomaco: non sono abituato a mangiare tanto e cose fritte e bere un vino così pesante. Poi ho dormito a tratti fin verso le dieci. Quando mi sono alzato, mia madre aveva già pronta la caffettiera. Vado ciondolando per casa, quando passa a trovarci la “Zia” Enna, di cui ho saputo solo ieri sera della recentissima dipartita del marito, che sapevo essere gravemente malato. Ben due ore di racconto, con dovizie di particolari della malattia e della morte e degli strascici familiari. Andata via lei, arriva zia Tina … e “trionfa l’allegria”: una valanga di dolori, malori, dottori, farmaci e esami: perché una TAC non si rifiuta mai! Pranziamo e mia madre mette in tavola zucchine lessate con le patate e pane casereccio da pucciare, seppie in insalata, le cotolette di pollo, “che è un peccato buttarle”, frutta, acqua, vino e caffè. Per tutto il tempo e per tutto il pomeriggio, fin verso le sette, non si è fatto che parlare, a volte anche animatamente, di malanni e accidenti, di quanto sia i figli che le nuore non siano adeguati e di come lei cambierà il mondo ed il modo e tutti si meraviglieranno, che lei non è stupida e le cose le sa e noi vedremo … Ma io dovevo prepararmi ad uscire e mi infilo in doccia, anche per togliermi di dosso tutte quelle parole e quelle iperbole, stanco solo ad ascoltare, ma in alcuni momenti non ho potuto trattenermi dallo sbottare, ribadendo che loro ormai sono prossimi agli ottant’anni e qualche accidente di percorso è naturale, ma che io a soli cinquant’anni ho già tanti acciacchi che dovrò trascinarmi almeno per altri trent’anni. Al che si è un po’ tacitata … ma solo per poco, tornando di nuovo alla carica. Per fortuna verso le otto e mezza è passata Anna e Sebastiano, per andare a cena fuori. Ci dirigiamo verso Giarre, alla Tavernetta, dove eravamo già stati altre volte. Con noi c’erano ovviamente Irene, Federica e Salvo, Maria con Nunzio, Katia con Saro, e Orazio con la moglie e i due figli. Pizza per tutti ed io ordino la Norma, ma prima ci portano patatine fritte, tagliate a mano, e bruschette. La torta, per festeggiare il compleanno di Anna, ovviamente l’ha fatta Sebbo, anche se questo “esperimento” non è riuscito perfettamente. Foto, regali e canzoncine d’auguri: “Happy birthday, happy birthday” Verso le undici e mezzo eravamo già a casa, ci siamo salutati intanto che mi ha chiamato Cicitto al telefono. Un po’ di televisione e poi in camera a scrivere fin verso la due e mezza. Giovedì, 04 giugno 2015. Sta notte sono rimasto a leggere fin verso le sei meno un quarto. Per fortuna ho puntato la sveglia per le undici. Mia madre è andata in campagna con zia Tina e Zio Pippo, per cercare le verdure selvatiche, anche se poi a raccoglierle è stato solo lo zio, mentre mia madre e sua sorella sono rimaste in macchina ad aspettare. Il tempo di prepararmi e verso le dodici è arrivata Lucia e Valeria. Che bello rivedersi e abbracciarsi. Abbiamo subito iniziato a parlare e raccontarci un anno di vita lontani gli uni dagli altri. Prima tappa in negozio per un po’ di spesa, poi a casa, dove aveva la gioia di mostrarmi i lavori di sistemazione del terrazzo. La casa in sé stessa è sempre una “non casa”, un piccolo corridoio su due piani unito da una scaletta ripida e stretta, dove la luce arriva solo dalle due porte poste alle estremità. Ma loro sono così orgogliose del loro regno, che mi duole il cuore a dire di tutte le mancanze e delle cose necessarie che non ci sono. Il terrazzo, effettivamente è migliorato e sembra più grande, anche se ancora necessita di lavori, ma appena possibile dovranno occuparsi degli interni, prima che arrivi l’inverno. Ci si organizza per il pranzo in terrazza, anche se il sole cocente, appena schermato dal policarbonato, dava un effetto serra da far sciogliere il cervello. Aveva già cucinato in anticipo: riso rosso ( riso bollito a cui ha aggiunto un vasetto di sugo alla amatriciana e del formaggio filante ), cotolette fritte ( acquistate già pronte, solo da friggere ), insalata e come dessert granita al limone, che si è in parte sciolta per il caldo. Inutile dire che abbiamo parlato per tutto il tempo, cercando di convincere Valeria a iniziare e proseguire con costanza la terapia per le crisi di panico che le stanno creando grossi problemi. Dopo il pranzo, abbiamo chiacchierato sul divano e poi siamo usciti, facendo un giro lungo e poco coerente: dapprima verso Torre Archirafi, dove ci siamo fermati a respirare il profumo intenso del mare ed abbiamo fatto delle foto, poi siamo tornati a Macchia per andare in farmacia, poi siamo ripassati da casa, dimenticando che avremmo dovuto lasciare le scarpe dal calzolaio. Ormai erano quasi le sette e mezza e mi hanno riaccompagnato a casa. Lunghi abbracci e tanti baci. Quelle due donne, con una marea di problemi, mi vogliono davvero bene ed io a loro. Mi sono sentito molto più a mio agio in quella “non casa”, con quelle persone fragili, che ieri sera, una tavolata mal assortita in cui ciascuno parlava di sé, ma credo che non ascoltasse nessuno, ciascuno col proprio soliloquio, ciascuno a rincorrere i propri pensieri e forse a raccontarseli da soli, solo per non dimenticarli, solo per non perderli nell’oblio di una solitudine abissale. Il resto della serata, l’ho passato a casa, guardando la TV e chiacchierando con mia madre, che non smette di raccontare, di fare commenti, di asciugarsi le lacrime, quando parla di mio padre e della sua solitudine incolmabile. Mi dice che in queste due notti ha dormito profondamente, senza neanche preoccuparsi, che la finestra rimanesse chiusa o aperta: ora c’è qualcuno in casa e non è più sola. Quando andiamo a letto è già la una e mezza, ma rimango a leggere fin verso le quattro, poi il lungo sonno. Domani devono venire delle persone e quindi punto la sveglia per le nove. Venerdì, 05 giugno 2015. Suona la sveglia e mi metto in moto, anche sarei volentieri rimasto ancora a letto. Dopo le abluzioni, aspetto che arrivi SkassaNella, che vuole un consulto. Arriva per le dieci e mezza ( avrei fatto bene a dormire ancora un po’ ), resta fin verso le dodici meno dieci, lasciandomi dieci euro. E’ il pensiero che conta. Torno in camera e riprendo a leggere fin quando non arrivano i miei nipoti, Anna e Sebbo per il pranzo: le verdure selvatiche lessate, salsiccia alla brace, frittelline di asparagi selvatici, frutta, acqua, vino, e caffè. Dopo un po’ di conversazioni varie con Sebbo e Anna sulla fibrillazione atriale e possibile trattamento, mi rimetto a leggere, fin quando, alle quattro arriva l’altra Skass, che si trattiene per un0ora e mezza, e mi lascia cinquanta euro. Il resto del pomeriggio è dedicato alla lettura, fin quando verso le otto, mi chiamano per la cena. Mangiamo le stesse cose del pranzo e dopo sia mia zia che mia madre vorrebbero che leggessi loro i Tarocchi. E così faccio, tra tante polemiche e discussioni, tra chiacchiere inutili e recriminazioni, ma alla fine arriva anche un contatto col Mondo dello Spirito, che è stato molto toccante, in cui mio padre parla a mia madre con un’affettività da commuovere tutti. Ormai alle dodici, zia Tina va a casa e con mia madre restiamo a parlare ancora, fin verso la una e venti. Poi a leggere, ancora fin quasi le quattro, finendo il libro di Margaret Mazzantini: “Splendore”. Stanco per le lunghe ore di lettura e un po’ deluso: mi avevano già parlato di questo libro come di qualcosa davvero speciale, da non perdere, che trattava il tema dell’omosessualità in modo garbato e tenero. Grande delusione!!! Sebbene la scrittura della Mazzantini sia fluida e piacevole, il testo ha davvero delle grandi pecche: primo fra tutte, una sequela di luoghi comuni, di cose sentite dire o riportate male, l’incapacità di descrivere il rapporto sessuale tra i protagonisti, glissando su un romanticismo da telenovelas, per alcuni versi sembrava la versione italianizzata e edulcorata di “I Segreti Brokeback Mountain”, inoltre le pagine finali sembrano essere state chiuse senza un senso, senza una vera chiusura, quasi non sapesse come smettere quel feuilleton. In alcuni punti, mi sono quasi sentito offeso, sia come lettore, che soprattutto come omosessuale. Sabato 06, Giugno 2015. Ovviamente, dopo una nottata di letture e congetture, mi sono svegliato tardi, molto tardi. Ormai erano le dodici. Caffè, doccia e quattro chiacchiere, quindi il pranzo, con una pasta deliziosa con le zucchine saltate con formaggio filante. Poi chiacchiere fin verso le cinque e poi al computer. Dopo mezz’ora passa zio Pippo e zia Tina, per andare a fare un po’ di spesa nel piccolo market dei paese. La macchina ha già dato tutto quello che aveva da dare anni fa e ora arranca tra sbuffi e sussulti, anche per una frizione pigiata male, sentendo l’esausto motore che aumenta di giri e sobbalza, un forte odore di gas di scarico riempie l’abitacolo, con un rombo di marmitta logora. Ma di tutto questo loro non se ne accorgono, anzi, quando provo a chiedere se avesse qualche problema, dice che la sua macchina va benissimo. Il market ha più l’aspetto di un negozietto di paese un po’ allargato, con la gente che ha difficoltà a passare nelle varie corsie e intanto che si incrocia, con i cestini mezzi vuoti, si fanno lunghe conversazioni. Il bancone della gastronomia ha un aspetto di vecchia bottega, con forte odore di pecorino appena tagliato, e anche qui chiacchiere e confidenze, così come al banco della macelleria, dove la gente compra la carne chiedendo tre bistecche e due etti di macinato. Alla cassa, arrivo trafelato, in quanto zia Tina, arranca con la stampella in una mano e un foglietto striminzito che non riesce a leggere perché non ha gli occhiali e perché la grafia è davvero illeggibile. Il cassiere, quando mi accorgo di aver preso l’acqua liscia anziché frizzante, lascia la cassa per andare lui stesso a sostituirla. Pago e usciamo, carichiamo la spesa sulla stanca macchina e calcando sull’acceleratore senza sollevare la frizione, con un forte odore di motore bruciato, incominciamo il giro del paese per andare a prendere il pane “dove solo lì lo fanno bene”, ma era chiuso, quindi si riparte, freno a mano tirato e acceleratore premuto a tutto gas senza muoverci, verso l’altro panettiere. Intanto, passando dalla piazza, si vedono gli addobbi di un matrimonio e qui parte il “toto matrimonio”: zia Tina è convinta sia la nipote di Turi Vitale o forse una parente di “Russo il panettiere”, che per questo è chiuso, ma forse non è né l’una né l’altra, “Domani ci spio alla signora Sarina, che lei sa tutto”. Arriviamo a casa, tra discussioni e grida, ma senza sapere di cosa si stesse discutendo. Io ho i nervi a fior di pelle e portando di corsa i sacchetti al piano di sopra, impreco con mia madre, dicendo: “E’ colpa tua!!! Io con questi due pazzi non ci esco più, mi hanno rincretinito!”. Sono grondante di sudore, intanto che salgo e scendo le scale per portare anche le casse di acqua. Ma non è ancora finita: incomincia il balletto dello scontrino: “Tu quanto hai speso, questo è il mio melone e le carote e … Ora fai il conto di quanto ti devo … che poi ci sono anche cinque euro … allora sette e trentasei più cinque però devi levare il pane e la carbonella …”. NON NE POSSO PIUUU!!! Mi sembra di essere Magda che deve ascoltare Furio! Lascio le sorelle a chiarirsi sui conti, guardando “Peppa”, così come continuano a chiamare la telenovelas “Il Segreto”, anche se in questa seconda serie, la famigerata “Pepa” non c’è. “No, ma ora ci chiamo a zio Pippo, che almeno sbaria, che gli dico che c’è Peppa … ma non risponde, chi sape dov’è … magari è andato a prendere lo spirito, che io c’è l’ho detto che va domani quando va a prendere il pane, ma non capisce nenti … ah Pippo dov’eri, vedi che c’è Peppa … come dove? … o solito … si ciao”. Ed io non so se ridere o piangere. Vengo in camera e accendo il PC, scrivo qualcosa, mi perdo a gironzolare tra le foto, che sposto dal cellulare all’hard disk, intanto passa Anna e Sebastiano e ci mettiamo a parlare in “cameretta” come dei liceali: Anna ed io seduti sul letto e Sebbo sulla cyclette, che finge di pedalare e si finisce per parlare del Pride, della chiesa cattolica, dei politici corrotti e intanto si son fatte le nove e trentacinque. Loro vanno a casa, decidendo che domani sera andiamo da “Saro a Baracca”, per rinverdire i vecchi tempi con un panino con hamburger e formaggio al pepe verde e una Ceres media ghiacciata, seduti sotto gli alberi di Piazza Carmine. Cena semplice, con Bresaola rucola e grana, intanto è passata Rosetta con Santo e Fabiana e, tra chiacchiere e grida, consegno i regali, poi Rosetta vuole farmi vedere la macchina che ha comprato l’inverno scorso: una Lancia Musa, di seconda mano, ma super accessoriata, di un color glicine metallizzato. Saliamo e vuole assolutamente che facciamo un giro. Arriviamo fino in piazza del comune, per poi ridiscendere a casa. E’ incredibile come non sia cambiata di una virgola: unico pensiero è comprare cose, pensare che tutti siano invidiosi di lei e lasciarsi coinvolgere in amicizie, che alla lunga, si riveleranno perdenti. Quando vanno via, restiamo, mia madre ed io a guardare la Tv e chiacchierare fin verso la una e mezza. Decidiamo di andare a dormire, ma non è così semplice: una volta in camera accendo il computer e inizio a guardare un film hard, finendo ovviamente per eccitarmi e per calmare quell’eccitazione. Nonostante questo, non ho sonno e inizio una nuova lettura. Guardo l’orologio e mi accorgo che sono le quattro, dovrei andare a fare la pipì, ma ho la necessità di fumare e così, in mutande esco in balcone. C’è solo il silenzio, tutto sembra irreale, solo un autoclave dalle case vicine si innesca periodico e qualche latrato di cane in lontananza. Rientro e sento mia madre russacchiare in camera sua. Mi metto a letto e mi sento di nuovo “fuori luogo”, come l’altra sera in pizzeria, dove mi sentivo parlare di cose futili con persone con cui non ho nulla a che spartire, un orologio che segna l’ora sbagliata, un navigatore che ti ha portato per strade che avevi abbandonato. Mi manca il mio letto, mi manca il calore del mio uomo vicino. Spero di addormentarmi e ritrovarmi altrove … a casa mia. Domenica, 07 Giugno 2015. Mi sono svegliato tardi, ormai erano le undici. Perdo un po’ di tempo in giro per casa, mi fanno male le articolazioni, specie il bacino sulla destra e le dita, che sento gonfie. Mia madre si lamenta che la faccio andare a dormire troppo tardi. Ma non ti ho imposto io di restare a parlare fino a tardi. Mi rado, poi perdo tempo. Telefono alla “mamma Lella”, giacchè continuavo a rimandare, ma so che lei ci tiene: gli obblighi familiari. Poi faccio la doccia: oggi mi sembra di fare tutto a rate. Dopo ancora mi siedo al PC e scrivo fin quando arriva mia sorella con famiglia al seguito e ci siamo seduti a tavola: Pasta alla Norma ( ormai è di norma ), bistecche arrostite sulla brace, insalata di cavolo rapa ( detto “trunzu” ), dolci ( io ho mangiato un magnifico Babà ), frutta,acqua, vino e caffè. Si è chiacchierato di cantanti e di fans: mio nipote che deve andare a Catania per comprare un cd di un rapper di nicchia che settimana prossima firmerà i dischi e si farà fotografare, ma se non hai comprato il suo ultimo disco “puoi cantare a finestre chiuse”, come avrebbe detto mia nonna, nel gergo attuale: “Ti attacchi!”. Verso le tre, tutti vanno via. Restiamo sul balcone a fumare una sigaretta e parlare “dell’educazione dei giovani d’oggi”. Mi sento stanco. Ho bisogno di sdraiarmi: mi fa male anche la spalla destra. Vado in camera, ma anziché sdraiarmi, mi metto a scrivere: ho tempo per riposare. Verso le sette, passa mio cugino Salvo, con sua mogli Grazie e la piccola Eleonora. Si parla, consegno loro i regali, ma verso le otto e mezza passa Anna e Sebbo, per andare da Saro “A Baracca”. Piazza Carmine, sembra abbandonata all’incuria: aiuole secche di erbacce, la fontana con l’acqua verde di muschi, anche i tavolini fuori sembrano quasi abbandonati a sé stessi. Decidiamo di stare all’interno e, salvo qualche piccola modifica, sembra di fare un tuffo nel passato. Saro ci saluta con grande calore, ma anche lui è in tema con il locale e con la piazza: in abbandono. E’ brutto vedere nel volto degli altri il tempo che è passato sul nostro. Il locale è semi vuoto, forse sono più i camerieri che gli avventori. A non è capitato un cameriere davvero particolare, e Sebastiano, con sguardo eloquente mi dice: “… Ma …” Ed io in modo altrettanto eloquente: “Siii …”, nel senso che era una “pazza”, tra l’altro con qualche problema di deambulazione, ma anche sembrava un po’ tardo. Io prendo il mio solito panino di allora: hamburger con formaggio al pepe verde, Anna e Sebbo delle piadine con farciture varie, ma prima delle patatine tagliate al momento con la buccia e fritte, con l’aggiunta di sale e pepe e maionese e ketchup a parte. Intanto che chiacchieravamo dei bei vecchi tempi andati, ecco che arriva Giuseppe “Culi ‘i gomma”, che avevamo da poco nominato. Quasi non lo riconoscevo per quanto fosse cambiato: aveva messo peso e sembrava quasi gonfio in faccia, i bei capelli biondi erano ora un ammasso informe con tante striature bianche, rimaneva solo il suo modo di incespicare quando parlava, ma tutto quello che, venticinque anni fa, mi avevano fatto battere il cuore era ormai sparito. Ed è stato un sollievo sapere che gli anni e la vita riduce anche la bellezza degli altri e che mi posso ritenere fortunato ad avere vicino un uomo decisamente più bello. Dopo tutto Giuseppe non seppe mai dei miei sentimenti, anche perché è un puttaniere convinto. Il cameriere fin troppo solerte e anche un po’ invadente si intratteneva al nostro tavolo ed io dico a mio cognato che “ha fatto colpo e che sta sera lascerà un cuore infranto”, lui incomincia a schermirsi dicendo: “Ni mancassuru schecchi a fera”. Comunque, un po’ per la birra, un po’ perche avevamo voglia di spensieratezza, abbiamo riso e chiacchierato fin verso le undici e venti. Poi siamo tornati a casa, dove mia madre era già a letto, con la televisione accesa. La saluto e vado in camera, riprendendo a leggere, fin verso la una e mezza. Lunedì, 08 Giugno 2015. Mi sono svegliato verso le otto, per poi tornare a letto dopo le mie solite pillole e la pipì . Mi sono alzato verso le undici e, dopo il caffè e la sigaretta, ho fatto le mie abluzioni e sono tornato a leggere fin quando è arrivata mia sorella con famiglia, per il pranzo: spiedini alla piastra, patate in insalata e fagioli piattoni conditi. Andati via loro, mi sono rintanato in camera per terminare il libro di Vladimir Luxuria: “ Eldorado”, uno struggente racconto sulla vita di una vecchia gloria del mondo gay, una Drag Queen, che ha vissuto negli anni del nazismo, nella Berlino dei rastrellamenti, riuscendo a scampare ai campi di sterminio, cosa che non fu possibile per due sue “Compagne”. Un racconto a tratti tenero, a tratti ironico fino al sarcasmo, con una scrittura fluida e coinvolgente che ti fa sorridere o piangere o ti lascia quell’amaro in bocca o un pugno nello stomaco. Cosa fondamentale il messaggio di Orgoglio e Impegno Politico, proprio della nostra Vlady, che ha vissuto sulla propria persona le discriminazioni e la sofferenza di essere diversi dalla massa e dal pensiero comune. BRAVA Vlady!!! Verso le cinque, passa Anna e Sebbo per andare a Giarre per risolvere la questione relativa alla macchina di mio padre, per cui abbiamo dovuto fare dichiarazione di accettazione di eredità, per poterla usare, per la modica cifra di trecentoottanta euro, a cui bisognerà aggiungere l’assicurazione e un controllo generale, prima di metterla in strada, dopo un anno di fermo. Tornati a casa, mi sono messo al PC, aspettando che passassero a prendermi per andare da Sara Castronovo per una reunion. Sta mattina mi era arrivato un messaggio che parlava delle otto e dieci, poi uno che diceva per le otto e mezza, alla fine Katia e Saro sono passati a prendermi per le nove meno dieci. In macchina c’era una stana coppia, di cui già da subito ho dimenticato i nomi: lei evidentemente più grande di lui, entrambe appariscenti in modo raffazzonato, di quelle coppie mal assortite che nulla pare abbiano in comune, ma a cui Venere sembrava tenere molto. Non ho capito se l’amica fosse ben più che amica o cos’altro … Arrivati a casa di Sara trovo che già erano arrivati quasi tutti: c’era Maria e Nunzio, Sebby Catanzaro (detto pilurussu ), Gianfranco, sua sorella Anna, che ho faticato a ricordare ( per fortuna che Katia ha detto il suo nome e nella mia testa si è aperto un cassetto della memoria ), col marito e i due figli, c’era poi una ragazza insignificante con un aspetto dimesso che accudiva una bambina, ma che non ho riconosciuto se non dopo almeno mezz’ora, quando qualcuno ha nominato Alfredo ( e anche in questo caso sono andato a diversi anni fa, quando eravamo a casa di Katia, a Fiumenreddo, quando Alfredo era ancora fidanzato con questa inutile donna, anzi tanto inutile non è stata, visto che gli ha dato una figlia, così Alfredo, potrà annoverarsi tra i “maschi-etero-padri di famiglia”. Mia gruppo fu così mal assortito e con così poche cose in comune, con la difficoltà di trovare un argomento di conversazione. C’era tanto da mangiare: dalle tartine di vario tipo a mini panini imbottiti, salatini vari, due tipi di pizza al trancio, macedonia e gelato semifreddo. Alcuni si sono incaponiti a voler rimanere fuori in veranda, ma con la piovuta di oggi, faceva freddo. Poi ci siamo un po’ ambientati e siamo riusciti a fare un po’ di conversazione delle più innocue possibili: viaggi, scuola, cibo … Quel piccolo mostro di bambina, che non faceva altro che correre e scorrazzare tra le sedie di tutti, ha finito col vomitare e quello fu il segnale liberatorio, per cui Alfredo e sua moglie, dicono che la bambina è stanca e devono andare, a ruota Anna e famiglia, a seguire tutti gli altri. E pensare che se si fosse stati in pochi ci sarebbero stati argomenti: Gianfranco, Sebby ed io, ci saremmo potuti raccontare della nostra vita gay, oppure “la strana coppia” avrebbe potuto parlare di sé, addirittura, avremmo potuto conversare con Sara, se solo non ci fosse stata quella folla. Quando sono arrivato, c’era anche Giacomo,il figlio di Sara che chiamava via Skype dal centr’Africa, e tutti a urlare dentro un computer. Maria e Katia mi hanno regalato un libro di Carmen Pellegrino: “Cade la terra”, che si sono fatti consigliare in libreria, raccontando alla commessa ciò che loro pensano che mi piaccia o che mi interessa: temo che abbiano preso un grosso abbaglio, da quello che ho letto nella sovra copertina, ma voglio essere ottimista, mal che vada lo regalerò. Tornato a casa, verso le indici e dieci, ho fumato una sigaretta in balcone e ho sentito Cicitto, al quale ho provato a descrivere la grande accozzaglia di vite inespresse che è stata riunita questa sera, ma qualsiasi descrizione non sarà mai esaustiva. Mi sono fermato al computer, senza sapere se poi mettermi a leggere o dormire. Martedì, 09 Giugno 2015. Mi sono svegliato tardi, dopo un sogno strano, ma la cosa veramente strana che me lo ricordassi. Dopo il caffè e la sigaretta, la doccia e poi mi sono messo a leggere il nuovo libro incominciato ieri notte. La mattinata è volata velocemente e verso le undici e mezza ho chiamato Cicitto, ma già dal tono di voce nel dire “Pronto …”, mi sono reso conto che c’era un momento di crisi. Per fortuna, oggi andrà da Zecca e potrà parlare con lui, magari si rasserena un po’. A pranzo, mia madre si lamenta di rivedere sempre le stesse cose in televisione: “… Stu Don Matteo l’amo vistu ‘na vita, ma ora ca è stati non fanu nenti …”, ma non per questo cambia canale: sembra che le sue dita sappiano formulare solo quei numeri, che sul suo telecomando ci siano solo tre tasti, ma ho sempre saputo che lei non ha mai avuto buoni rapporti con la tecnologia, riuscendo a litigare anche col tostapane. In tavola oggi, pasta con le lenticchie e sebbene le avessi chiesto di farne poca, ne ha riempito una fondina così profonda che poteva essere spacciata per una insalatiera, e per non farci mancare niente: fiori di zucca impastellati e fritti: “… Ca me li ha dati Enna, sennò si appizzano … Tu mangia, che poi a casa tua non li mangi più ”. Io, che ormai sono vittima della mia gola e della mia pigrizia, non ho più fiato per ribellarmi e mi sto trasformando in un botolo. “ Sta sera che vuoi cucinato? ”: la domanda si ripete in maniera ossessiva, e la sera si ripropone per la mattina successiva. Tutto il cibo che, maternamente riesce a far entrare nel mio corpo, deve durarmi per un anno, fin quando non torno. Se per lei l’amore passa per la gola, mi ha già amato di due chili e chissà quanto ancora “amore” mi riverserà nei piatti e nello stomaco, che andrà a depositarsi nella pancia, facendo piangere la mia bilancia … Ma sicuramente “con Tanto amore”. Il pomeriggio è passato a leggere ed ero quasi a buon punto. Ha piovuto ancora, con un corredo di tuoni e lampi, da far paura, risoltosi in un acquazzone di due ore, quando ho saputo che zio Pippo, che già da giorni lamentava dolore alla fossa iliaca di destra è stato portato in ospedale, perché quel cretino del suo medico gli ha detto che “ ha aria nella pancia e è meglio portarlo in pronto soccorso“: un diagnosi ineccepibile e altamente professionale, che tiene conto di tutta la sintomatologia e dell’anamnesi remota e prossima, nonché dell’evidenza clinica. Odio quell’uomo!!! Ad accompagnarlo al Cannizzaro è stato mio cugino Salvo e noi siamo stati in attesa, con lunghi giri di telefonate. Intanto, proprio sul telefono, mi arrivano, accompagnati da commenti personalizzati, video porno, dal numero di mio cognato. Ovviamente, si trattava di un virus che aveva invaso il suo telefonino, ma al solo pensiero che sarebbero arrivati a tutti i numeri di telefono possessori di facebook che aveva in rubrica, mi veniva veramente da ridere: Avrei voluto vedere le facce di mia cugina Cinzia, iper cattolica, che mette in bacheca solo preghiere e immagini sacre, o tutti i fornitori del bar o i medici. Secondo me, mio cognato avrà avuto un momento difficile. Io stesso mesi fa ho subito un virus sul cellulare, trovandomi a dover resettare e poi a scaricare un antivirus. E’ stato un po’ noioso, dover cancellare tutti quei video che, tra l’altro, arrivavano in serie di dieci, tutti uguali, appena avevi cancellato quelli te ne arrivava un’altra raffica. Nonostante ciò, sono riuscito a finire il libro: “Argento vivo” di Marco Malvaldi, una simpatica commedia degli equivoci, che coinvolge quattro gruppi di persone, in una girandola di contrattempi e confusioni, in un intreccio divertente e coinvolgente, con un simpatico lieto fine. In serata, è passata Anna e Sebastiano, di ritorno dall’assicuratore, dove purtroppo non hanno combinato molto: tutto rimandato, per “un guasto sul sistema”. E’ proprio la giornata della telematica! Restiamo a parlare, partendo dalla scoperta della morte di Santo La Rosa, detto “Santazzu Muzzica Santa”, che hanno trovato solo dopo due giorni del decesso: era ormai una sorta di barbone alcolizzato, che rifiutava il mondo, ma a quanto pare, il mondo si è dimenticato di lui. Da qui si è partiti per un escursus tra gli alberi genealogici di tutto il quartiere e oltre, giungendo in tutti gli angoli e recessi del paese, tra malattie psichiatriche vissute come originalità che hanno avuto risvolti tragici, a violenze domestiche e gesti di grande altruismo. Insomma, una sequela di nomi e soprannomi (“Bastiano ‘cca nnocca” “Nuccio delle nuvole blu”, “Giuvanni Fafai”, …), con relativi genitori e parenti, con indicazioni stradali e geografiche, che non hanno fatto altro che confondermi le idee ed io che continuavo a chiedere: “ … Ma di che state parlando? …”, che sarebbe stato meglio non dire, perché la sequela di noni si sommava, con altre specifiche di case e vicini di casa e tempistiche e luoghi che ormai non ci sono più. Ero stanco solo a sentire! Andati via loro, mia madre mette in tavola: pancotto, alla maniera di mia madre, con poco pomodoro, uova a stracciatella, formaggio e ovviamente pane. Ancora mi approccio ad un pentolone di pane profumato e fumante, che mi sono sentito un tacchino ripieno. Ormai alle undici sappiamo che zio Pippo ha avuto una diagnosi degna di questo nome: “Ernia inguinale destra, a cui si aggiunge sciatalgia destra e artrosi della colonna … ed ovviamente ottantatre anni”. Gli hanno fatto un’ecografia addominale, degli esami ematici e gli hanno praticato un antidolorifico. Dopo questa notizia, siamo rimasti a parlare fino alla una, guardando la TV. Poi sono tornato in camera al leggere fin verso le tre, iniziando un nuovo libro: questa volta tocca a Camilleri. Mercoledì, 10 Giugno 2015. Mi sono svegliato verso le sei, sia per fare la pipì per il mal di stomaco. Prendo i miei farmaci e torna a letto, dormendo fin verso le undici e dieci. Soliti rituali del “mattino” e mi sono messo a scrivere. Il tempo è grigio e ricomincia a tuonare, sull’Etna è tutto imbiancato: forse ha nevicato, ma mia madre è convinta che si tratti di grandine, e se così fosse, deve averne fatte davvero tante. Per la una e un quarto arrivano i ragazzi per il pranzo: oggi lasagne. Finito di pranzare, mi sono messo a leggere, quando è arrivato mio nipote, che cercava consigli su un possibile fidanzamento, ma dopo un po’ suonano al campanello: “ Si, chi è?”. “Rita”. “Chi è?”. “Rita sono”. Non conosco chi possa essere e così chiamo mia madre, dicendo che c’è una certa Rita che la cerca. Anche mia madre non sa chi sia, ma già avevo aperto e stava salendo le scale una signora grassottella con un bambino. E questa mi dice: “Ciao, non ti ricordi di me?”. Ed io: “No, mi dispiace, ma non mi ricordo, forse una vaga idea del viso, ma non ricordo”. “Rita Patanè, quella che abita là in fondo …”. Io proprio non ne ho memoria. Poi mia madre mi dice che è “Rita di Maria ‘i Camilla”, ma anche così ho grosse difficoltà. Questa con il suo bambino, con evidenti problemi comportamentali, quasi autistici, si trattiene a parlare,come se ci fossimo frequentati da sempre, mentre quel “piccolo mostro”, continuava a far danni per casa. Io ho già una vaga repulsione per i bambini maleducati, ma ancor di più, per le madri che non sanno quando i loro figli sono causa di disastri e si tolgono gentilmente dai coglioni. Quando dopo un’ora si decide ad andarsene felice di avermi rivisto, dopo trent’anni di assoluta meravigliosa indifferenza, in cui non avevo la ben che minima cognizione della sua esistenza, ci accorgiamo che il bambino ha chiuso la porta della veranda e non sappiamo dove abbia buttato la chiave. E mi vien da chiedere: ma certa gente deve per forza scassare la minchia a qualcuno almeno una volta al giorno, oppure è solo una questione fortuita che abbia scelto proprio noi per questo evento straordinario? Il resto della serata passa veloce: cena, TV e poi in camera a leggere. Così ho finito il libro di Camilleri “Inseguendo un’Ombra”: un romanzo biografico o una biografia romanzata su un discusso personaggio siciliano, con origini ebraiche, che si converte cristiano per poi combinarne davvero tante. Ottima scrittura, ma non mi ha comunque soddisfatto. Giovedì, 11 Giugno 2015. Questa notte ho stentato ad addormentarmi e alla fine mi sono alzato verso le dieci e mezzo. Avevamo da poco preso il caffè, che suona la “Zia” Enna, e si è fermata a parlare ancora della morte del marito e ci ha mostrato le foto della nipotina. Intanto che stava andando via, ormai le undici e venti, suona ancora il campanello ed è Tiziana, con il bambino ed è rimasta a parlare fin verso la una. Mia madre, ancora in vestaglia, doveva preparasi per andare a fare l’Eco Tiroide, così si mangia rapidamente, lei si prepara e mia sorella passa a prenderla verso le tre e venti. Rimasto solo a casa, mi sono messo a letto per leggere, ma mi sono addormentato pesantemente. Mi sono svegliato verso le cinque e mi sono messo al PC. Un pomeriggio volato senza far nulla. Ma ricominciano le visite e il via vai. Prima telefona mia nipote per chiedere se dovessi usare la macchina nel pomeriggio, poi passa mio cugino Salvo, che rimane a parlare a lungo, fin quando arrivano le mie nipoti per la macchina, ma non sanno tirarla fuori dallo scivolo del garage e a questo ci pensa Salvo. Più tardi, ritorna mia madre e, finalmente, riesco ad infilarmi in doccia. Il resto della serata è stato abbastanza tranquillo: un po’ di TV, cena a base di toast, quattro chiacchiere e poi verso le dodici e mezza in camera. Oggi è stata una giornata strana: tante visite, ciascuna con una storia da raccontare, con uno sfogo di cui liberarsi e tu a dover dare consigli e conforto, a volte cercare per loro una via di fuga per le loro paure. Ci sono giorni in cui pensi: “Non ho fatto niente”, e invece hai tanto parlato, hai dato tanto senza rendertene conto, magari solo con un silenzio o un abbraccio. Stanco, ma in qualche modo, soddisfatto. In fondo, non è stata una giornata sprecata! Venerdì, 12 Giugno 2015. Sta mattina mi sono svegliato verso le neve meno un quarto. Già che ero sveglio, mi sono alzato, mi sono preperato e sono andato in banca per pagare le tasse della casa (ICI, TASI,TARSI o che diavolo sia). Mi è sembrato strano entrare nel Credito Valtellinese in Sicilia. Avevo davanti a me solo tre persone, con due sportelli attivi, ma ho notato che i tempi erano sensibili al parallelo: tutto molto slow e senza ansie o premure, sia nei dipendenti che nei clienti. Finito di pagare, mi sono messo in macchina e sono andato a Giarre da Gaetano per tagliare i capelli, nel solito rituale estivo. Nonostante fossero solo le dieci e un quarto, c’erano già tante persone in attesa, ma anche qui nessuno che si scomponesse per l’attesa. Quando è toccato a me, anche se non ho capito quale criterio abbiano scelto per chiamare i clienti, mi siedo e Gaetano, invece, si siede sui divanetti a leggere il giornale ed io ad aspettare. Poi con i tempi relativi incomincia a tagliare, ma tutto intervallato da lunghe chiacchiere e discussioni: sapendo che anch’io, come suo figlio, sono infermiere, si dilunga in considerazioni e commenti sugli stipendi, sulla fatica dei turni, sul fatto che suo figlio vorrebbe lasciare la psichiatria del “Fate Bene Fratelli” di Milano, per avvicinarsi a casa, ma non ci sono possibilità di mobilità o trasferimenti. Un taglio fatto bene, ma con tempi rilassati, dopotutto è questo il bello di andare dal parrucchiere: rilassarsi. Tornato a Santa Venerina, passo dal bar di mio cognato e qui trovo Sara Castronovo che fa colazione con la granita, alle undici e un quarto. Saluto la signora Graziella, che mi invita a pranzo per domenica, dicendo che preparerà apposta per me i “Pansotti alla domenicana”, come rifiutare. Saluto Maria e Irene, che sono al banco e vado in laboratorio, dove c’è Orazio, Salvo , Bebbo e Anna. Il tempo di quattro chiacchiere e vado a casa, per poi risalire a portare le lenticchie che mia madre ha cotto per loro. A casa, mia madre è vistosamente stanca, ma egualmente aveva fatto un po’ di pulizie, aveva già preparato i funghi da fare con la pasta e naturalmente le lenticchie che ho portato ad Anna. Giro di telefonate: prima a zia Tina, che non fa altro che lamentarsi, e poi a zia Maria che al contrario sminuisce tutti i suoi acciacchi, anche se si sente chiaramente che sia davvero stanca e sfiduciata. Dopo pranzo, mi metto sul letto a leggere, ma mi sono appisolato. Verso le cinque e mezza, mi chiama mia sorella, per andare ad Acireale. Prima tappa, il ritiro dell’Eco Tiroide di mia madre e qui, alla reception, ci sono due starni tipi, tra il viscido e l’arrogante: lei sull’anoressico andante, e lui un panzerotto scazzato e mancino che non si scomoderebbe dalla poltrona neanche se lo minacciassero. Poi, Anna vuole assolutamente farmi un regalo, anche se io continuo a protestare che non è necessario. Vuole andare in un nuovo negozio vicino Corso Umberto, ma continua a dare indicazioni differenti e confuse a Sebbo, che alla fine ci porta a destinazione. Sulla porta c’è scritto che se la porta fosse chiusa di rivolgersi all’altra entrata del negozio donna. Dopo essere rimasta a lungo, quasi interdetta da questa “insulsa” affermazione, decide di andare all’altro ingresso, ma la vecchia commessa (o forse era la proprietaria, inutile chiedere per attaccare un’inutile conversazione) ci porta al primo ingrasso che adesso risultava aperto. Ci accoglie un giovane, dall’aspetto fricchettone, che incomincia ad elogiare la loro merce, dicendo di quanto sia tutto made in italy, della qualità e del design, ma io controllo i prezzi e mi accorgo che sono sicuramente over budget. Mia sorella, intanto, presa dal “sacro fuoco dello shopping”, è decisa al fatto che io acquisti una giacca, o una camicia o se proprio una maglietta, ma io non vedevo nulla che potesse interessarmi, men che meno dopo aver visto i prezzi: una maglietta alquanto banale costava quarantasette euro, che anche scontata del trenta per cento, era per me troppo cara in rapporto alla qualità e al “design made in italy”. Già stavo grondando di sudore, come ogni volta quando mi innervosisco, cercando di far capire a mia sorella che avremmo potuto trovare di meglio e miglio prezzo. Alla fine si decide per andare da Ben Veste, dove altre volte abbiamo trovato cose carine a prezzi accettabili. Qui incomincia la “la sindrome da frenesia da shopping compulsivo” che coglie i Tripoli in alcune fasi della vita. Io dal canto mio dovevo solo comprare un una cosa piccola per Cicitto ed ho anche risolto rapidamente, ma per mia sorella era solo l’inizio … : dalle giacche “strizzate e sovra-culo” ai giubbotti fiorati e super sottili, dai pantaloni ultra slim a magliette super scollate, tutto era acquistabile e tutto mi sarebbe stato bene: “… Non puoi credere che figurino che ti fa …” e rivolgendosi al commesso (magro, barbuto, tatuato e vestito di nero) gli chiede se non sia vero. Cosa poteva dire quel povero ragazzo che doveva vendere, intanto che cercava una taglia cinquantasei per me? Alla fine, ma ancora non paga, si accontenta di aver comprato: un paio di pantaloni, un maglioncino leggero, una maglietta (uguale,ma di colore diverso anche per Cicitto), una cintura e una sciar pettina. Ho cercato di contenere la spesa scegliendo capi meno costosi, ma lei insisteva che a Natale e per il compleanno io non ci sono, che le sue cognate ricevono sempre regali ad ogni occasione e che era giusto così. Il tutto alla “modica” cifra di novantanove euro. E’ una pazza!!! Tornati a casa, le avrebbe voluto andare a mangiare fuori, ma io non mi sentivo. Così, lei si è ritirata un po’ delusa, con l’idea di andare a cena fuori domani sera. Io sono rimasto a casa ed ho cenato con carpaccio, rucola e grana, e spiluccando fettine di pane a mò di dolce. La serata è volata alla TV, poi a letto a leggere. Domani ci sono tante cose da fare. Sabato, 13 Giugno 2015. Mi sono svegliato verso le si e mezza e non riuscivo a riprendere sonno. Quando mi sono addormentato, è suonata la sveglia: erano le nove. Mi preparo e, stranamente, mia madre è già sveglia e ha già fritto anche le melanzane e mi dice: “Ma tu sei passato in camera e mi hai detto: mamma svegliati?”. Assolutamente no. Allora lei si convince d’averlo sognato. Io penso che fosse tanta l’ansia che dovevamo fare tante cose in mattinata che si è auto chiamata dal sonno. Ma bene anche così. Per le nove e mezza siamo in macchina alla volta del cimitero, qui compra i fiori e poi andiamo alla tomba di mia padre. Come ogni volta non riesco a immedesimarmi nel figlio dolente, non riesco a vedere quella lapide come il luogo in cui sia mio padre e tutti quei rituali di pietas, come baciare la foto, parlare alla lapide, accomodare i fiori, mi sembrano vuoti e senza significato. Forse sono io ad essere sbagliato, forse ho solo la coscienza che mio padre sia altrove o forse è ovunque e sempre con me. A pranzo ci sono i ragazzi, Anna e Bebbo. Mia madre ha preparato: pasta alla Norma, cotolette di carne e melanzane a cotolette,ripiene di formaggio. Abbiamo chiacchierato e quando loro sono andati a casa, mi sono messo sul letto a spulciare internet e a leggere, ma mi ha colto la sonnolenza post prandiale. Verso le sette andiamo a Mascali da Annamaria, per poter salutare zia Maria, che nei giorni scorsi ha dovuto fare una procedura invasiva. Siamo stati un’ora circa a chiacchierare, poi abbiamo salutato Fabio e Salvatore e siamo venuti a casa. Ci siamo accordati che sarebbero passati a prendermi fra mezz’ora e, quasi puntuali, siamo andati a Scillichenti, una frazione di Acireale, vicino al mare. Il ristorante si chiama “Coltello e forchetta” , una sorta di casa di campagna che è stata restaurata, puntando su uno stile minimal, vagamente shabby chic, ma ad un occhio attento, da assiduo frequentatore Ikea quale io sono, si accorge che si è forse più badato al risparmio che al design. Anna ed io decidiamo per la pizza, mentre Sebbo per in panino con “hamburger veggie”. La prova impasto e cottura non sono state superate: la pizza risultava cruda e insipida ed ho dovuto far aggiungere la mozzarella che non c’era da menu, il vino sembrava di bassa qualità, il servizio pretenzioso, visto che le tovaglie e i tovaglioli erano di carta, a tutto ciò si è aggiunto il trio folk in abiti da farsa siciliana, con chitarra, tamburello e “quartara”, che cantavano “Ciuri ciuri”. Siamo venuti via verso le undici. A casa sono rimasto a guardare un po’ di TV e fare quattro chiacchiere con mia madre. Poi a letto a leggere, fin quasi alle tre. Domenica, 14 Giugno 2015. Sta notte ho dormito male, sia per l’afa che per il dolore all’ala iliaca destra, che coinvolgeva tutto il gluteo. Avevo puntato la sveglia per le nove, ma già alle otto meno cinque mi ero alzato, andando in giro per casa in cerca di un Toradol, ma niente. Mi sono rasato, fatto la doccia e sono salito al bar, per chiedere ad Anna se avesse una fiala da farmi, per fortuna, l’aveva la signora Graziella che mi ha fatto l’iniezione. Ora, in attesa del salvifico effetto dell’antidolorifico, ho potuto gustare la prima e ultima granita dell’anno: fragola e panna sia sopra che sotto e la brioche ancora calda. Sono passato poi dalla piazza, per comprare la “Calia”: ceci e semi di zucca abbrustoliti con aggiunta delle arachidi tostate con la buccia. Torno a casa e mi metto al PC. Verso le dodici e mezza andiamo al bar di Sebbo e qui aspettiamo che chiudessero per pranzare. C’erano: Venere con Saro e sua figlia, Sara Castronovo, Maria con Nunzio, Il Signor Lanza con la Signora Graziella e ovviamente Anna e Sebbo con i ragazzi, mia madre ed io. E verso le due inizia la mattanza di cibo: pansotti alla domenicana, rollè di pollo con piselli e fughi, polpettine con patate funghi e piselli, insalata, dolci e “calia”. Alla fine eravamo talmente pieni che non si riusciva a muoverci. Almeno io, ero così pieno da star male. Ci siamo trattenuti a parlare fin verso le quattro e mezza, quando siamo scesi a casa. Ho telefonato a Cicitto, continuando a ripetere, come nella parodia di “Made in Sud”: “Io mi sento maleee …”. Mi sono messo al letto con l’idea di leggere, ma sapevo benissimo, che avrei finito per addormentarmi. E così né stato. Verso le sei è arrivato mio cugino Salvo con sua moglie e la bambina e poi mia zia Tina. Siamo rimasti a parlare fin verso le dieci, quando sono andati via ed io ho cenato con due arancini. Mia madre ha visto “Il Segreto” ed io “Don Camillo”, e poi insieme siamo rimasti a vedere “Il Colore Viola”. Ormai tardi: quasi le due, siamo andati in camera. Domani è il giorno del ritorno e mia madre tornerà a dormire da sola in casa, tornerà a chiudere le porte e le finestre, forse chiuderà anche le porte del cuore, rintana dosi nella solitudine del suo dolore. Non posso restare ancora e non lo voglio nemmeno: ciascuno deve poter vivere la propria vita e la mia è altrove con il mio amore, con il mio lavoro, con altre persone che non sono quei “vecchi” conoscenti che sono qui, con i quali non ho più nulla da condividere. Mi dispiace per mia madre e per mia sorella, ma non posso rimanere imprigionato nelle loro vite: ho la necessità di vivere la mia! Ora si va a letto, sperando di dormire. Domani si torna a casa! Lunedì, 15 Giugno 2015. Sta mattina mi sono svegliato verso le nove, ma dopo essere stato in bagno e preso le mia pillole, sono tornato a letto e credo d’aver fatto un sogno erotico. Mi sono alzato verso le dieci e ancora ero in uno stato di agitazione genitale. Dopo il caffè e la doccia, ho iniziato preparare la valigia e, da subito, mi sono reso conto che il peso sarà un problema. Sono andato a salutare zia Tina, che mi ha trattenuto parlando , come sempre, di malattie e drammi, intanto Rosetta e sua figlia Fabiana erano a casa mia ad aspettarmi e, quando sono arrivato, si è fermata a raccontare tutte le sue sborronate, senza considerare che sua madre le avesse chiesto di fare una commissione. Va via verso le dodici e cinquanta, pranziamo soli, mia madre ed io e poi mi distendo sul letto a pisolare, cercando ancora di digerire i pasti di ieri. Anna e Sebbo sono passati a prendermi verso le quattro, e ancora devo aggiungere cose nella valigia non perché Cicitto mi abbia regalato un mega bagaglio, io debba riempirlo fino a non poterlo chiudere. Il momento del distacco, ancora una volta, è stato per mia madre un lungo attimo difficile: quasi non volesse più staccarsi da me, lunghi baci sulle guance e lacrime ingoiate in silenzio. Da sta sera, ricalerà il silenzio in casa, rotto solo dalla televisione che, più che fare compagnia, serve a fare rumore, per non sentire l’enorme vuoto del silenzio, che tutto pervade. Ma ora è l’ora di partire, mani che si muovono in un interminabile saluto e voci inudibili oltre i finestrini che rimandano alla prossima volta, al prossimo anno: “Sempre che ci sia, il prossimo anno”, continua a ripetere mia madre da giorni. Passiamo da casa di Anna, per recuperare le ragazze, Salvo mi aveva già salutato ieri sera. Federica deve andare al centro assistenza Apple, perché il suo telefono è andato in panne. Anna decide che a guidare sia Irene, e senza troppi problemi arriviamo in aeroporto. Qui, nell’area partenze, non c’era posto dove lasciare la macchina, quindi, “ovviamente”, posteggia nell’unico spazio libero: sulle strisce. “Tanto, stiamo poco, il tempo di scendere la valigia e salutare …”. Ma Irene ha sete, quindi Federica si presta per andare a comprare una bottiglia d’acqua, Sebbo che voleva entrare in aeroporto è rimasto a fare compagnia a Irene e Anna mi ha accompagnato a fare il check in elettronico e poi in fila per consegnare il bagaglio. Qui la fila sembrava non muoversi più, a causa di un gruppo di giovani sub che avevano bagagli enormi e ultra pesanti e facevano perdere un sacco di tempo. Quindi dico ad Anna che forse è meglio che vadano e ci salutiamo. Arrivato il mio turno, deposito la valigia sul tappeto rotante per la pesa e la hostess, mi dice: “Non me lo faccia più”, ma io non capisco e lei con fare accondiscendente, mi indica il display in cui compare un bel venticinque virgola otto chili. Cerco di discolparmi dicendo che mia madre ha aggiunto cose fino all’ultimo momento e lei lo capisce perché è stata anche lei lontana dalla famiglia, ma altri avrebbero fatto storie. Per fortuna, il resto del percorso ad ostacoli, fatto di transenne, a mò di labirinto e di code, per accedere al controllo dei metal detector è stato veloce, ma qui arriva il solito contrattempo dell’allarme che suona al mio passaggio. Avevo già tolto, preventivamente, orologio, anello, cintura e avevo messo il PC nel contenitore, ma nonostante ciò suonava. Mi fanno togliere le scarpe, ma io so che non era per quello, ripasso e suona, e la guardia mi chiede se avessi qualcos’altro in tasca. Alla fine, addiviene che forse sfioro l’arco del metal detector, ed io penso: allora è vero sono davvero ingrassato troppo. Già stamattina avevo avuto la sentenza della bilancia: novantacinque chili, un chilo dei quali guadagnato in un solo giorno (chissà perché si dica che i chili si guadagnano, quando io in questo non vedo nessun beneficio), Sebbo non si capacita come possa aver mangiato un chilo di “roba” in un solo pasto: “… E poi c’è anche lo smaltimento, non è che rimane tutto addosso …”. Lui, purtroppo non si rende conto della enorme quantità di “roba” che si possa mettere in tavola e quindi nella pancia in uno di quei pranzi luculliani domenicali. Finalmente, oltre i cancelli, vado a comprare una bottiglia d’acqua e poi mi sistemo con il PC in mano. Ci imbarcano abbastanza in orario, ma arrivati con il pulman sotto l’aereo, siamo costretti ad aspettare a salire, perché sul nostro volo c’è un uomo sotto scorta. Qualcuno dice che almeno saremo al sicuro, altri (viva l’ottimismo) che rischiavamo di subire un attentato per far fuori il delinquente. Io, onestamente, me ne frego, non vedo come possa cambiare il mio viaggio avere quattro uomini della scorta ad un pregiudicato … viva l’incoscienza. Arrivato al mio posto, mi sistemo vicino al finestrino. Accanto a me c’è una coppia, un po’ “oratorio”: lei piccola, con lunghi capelli neri e lineamenti quasi latinos, lui “longo a ‘mmatula”, con una sacca che sembrava di quelle termiche per i picnic per bambini. Soliti gesti delle hostess per indicare le uscite di emergenza e l’uso delle maschere e dei salvagente e già la donna incomincia a tenere la mano del marito, l’aereo si avvia verso la pista di decollo e vedo lei che armeggia con qualcosa sotto il foulard che ha al collo, l’aereo incomincia a rollare sulla pista e lei comincia a farsi le croci e baciare il crocefisso che ora riesco a distinguere sotto il foulard. Io, dal canto mio, sto leggendo il giornale pubblicitario Alitalia, cercando di non buttarla fuori da finestrino. Quando, finalmente in volo, dicono che possiamo usare gli apparecchi elettronici, prendo il PC e riprendo a scrivere e vedo che “Miss Crocefisso” sta sbirciando sulla pagina con la scusa di guardare dal finestrino. Quando passa l’hostess per il meraviglioso spuntino, io chiedo un po’ di Cola e salatini (quindici grammi di mini torlillas di polenta), mentre la signora e il marito rifiutano anche l’acqua. Poi tirano fuori un sacchetto di arachidi, ed io mi sono chiesto dove abbiano buttato le bucce. Quando siamo arrivati nella fase di discesa, quindi ancora molto lontani dall’atterraggio, lei riprende con le croci, alternando con lunghe strette di mano al marito, che sembrava stesse davvero soffrendo, ma con spirito di sacrificio ecumenico, nel silenzio dell’amore coniugale. Scendendo ancora, la voce dell’hostess chiede di spegnere gli apparecchi elettronici, di chiudere il tavolino e mettere dritto lo schienale, allora spengo il PC e prendo il libro “Global Gay” di Frédéric Martel, al che “Nostra Signora delle Croci” ricomincia con frenesia a “incrociarsi” e baciare il povero ciondolo appeso al collo, intensificando quando avverte che ormai stavamo per atterrare. Non ne potevo più!!! Disgraziatamente, l’uscita di sbarco era solo quella anteriore, perché avremmo utilizzato il tunnel, quindi essendo al posto ventidue, abbiamo dovuto aspettare che tutti quelli avanti si smuovessero e raccattando il bagaglio a mano nelle cappelliere. Ne approfitto per fare i giri di telefonate per avvertire dell’arrivo: Cicitto è ancora in prossimità di Agrate, ma lo rassicuro che dovendo ancora scendere e poi aspettare il bagaglio lui avrebbe avuto tutto il tempo d’arrivare. Come una lunga tortura cinese, non riesco a togliermi da davanti la “coppia dell’oratorio”, che a vederli in piedi erano ancora più strani, con le loro altezze spropositate, in cui lui sembrava il padre e lei la bambina, ma il fastidio maggiore era dovuto al fatto che non si toglievano dalle palle, anzi sembrava che facessero a posta a sbandare ora da una parte ora dall’altra, ora allontanandosi ora avvicinandosi l’uno all’altra, quasi fossero ubriachi o affetti da labirintite. Quando riesco a superarli e seminarli, imboccando la scala mobile e scendendo i gradini due alla volta per non farmi raggiungere, arrivo al tapis roulant, dove c’è un gran assembramento, ma non c’è il nome del mio volo, così faccio il giro, fino in fondo, ma nulla, quando mi riavvicino alla postazione “uno”, dove non compare il nome del mio volo, vedo una valigia che mi dico somigli alla mia, ma è troppo presto. Comunque decido di prenderla e verificarne il nome, male che vada la rimetto sul rullo. Invece è proprio la mia e, con stupore, mi avvio verso l’uscita, continuamente fermato dai tassisti che si proponevano di accompagnarmi. Fuori dagli “arrivi”, richiamo Cicitto, ma non è ancora arrivato. Fuori il tempo è nero, freddo, umido e piove: cazzo ora che in Sicilia stava mettendosi al meglio, arriva qui e mi ritrovo alla pioggia. Meno male che avevo messo il giubbotto nello zaino del computer, e pensare che mia sorella voleva che lo lasciassi in valigia: “Tanto se ne avessi bisogno lo puoi tirare fuori”. Sì, le ultime parole famose: avrei proprio voluto vedere come aprire quella cassaforte piena rasa che se ci avessi provato sarebbero esplosi dappertutto per l’aeroporto ogni ben di dio, altro che trovare il giubbotto. Finalmente vedo la macchina di Cicitto e mi dirigo verso il punto in cui si è fermato e chi ti rivedo …? “I Figli dell’Oratorio”. Non ci posso credere: pare mi stiano inseguendo. Ora sono in macchina, ci scambiamo un bacio e ci avviamo verso la tangenziale, raccontandoci un po’ di questi giorni vissuti lontani. Arrivati a casa, disfo la valigia e preparo per la cena. Ora sono davvero tornato! Avevo bisogno di un po’ di ferie, ma ora ho bisogno di tornare ai miei ritmi, alla mia casa, alle mie cose, al mio Amore e, anche se questo a malincuore, al mio lavoro. Amore, ora sono a casa, di nuovo insieme!